2

L’archivio a Pomposa:
tracce e note di antichi ordinamenti

di Corinna Mezzetti
Nel 1553, la comunità dei monaci di Pomposa si trasferisce nella nuova sede cittadina, il monastero di San Benedetto, portando a Ferrara suppellettili, arredi sacri, libri e documenti.
Fino a quella data, l’archivio rimase a Pomposa, ma non si sono conservati elenchi o inventari antichi che descrivano le carte e la struttura del complesso archivistico nei locali del monastero. 
«Due capse cum cartis et instrumentis diversarum rationum», si limita ad annotare il notaio Francesco Pellipari nell’inventario patrimoniale dei beni abbaziali, preparato nel 1459 per volontà dell’abate Rinaldo Maria d'Este. L’elenco descrive nei particolari i libri della biblioteca e gli arredi sacri, ma riserva questo breve cenno alle carte, consegnandoci l’unico, e oltremodo grossolano, squarcio sull’antico archivio conservato ancora nella sede originaria. 
Qualche tassello dell’ordinamento che i monaci avevano dato all’archivio può essere recuperato seguendo il filo rosso delle note dorsali, i segni e le stringhe di testo che punteggiano il verso di ogni documento medievale scritto su pergamena. Sono moltissime le mani che hanno lasciato tracce sulle carte di Pomposa: le più antiche dei secoli XI-XII risultano coeve o di poco successive alla redazione dei negozi scritti sul recto, molti interventi si datano ai secoli seguenti e corrono fino al Cinquecento e anche oltre.
Sono perlopiù brevi note, che registrano solo il nome di una persona o di una località; a volte riassumono in piccoli regesti il contenuto del documento o ne precisano alcuni elementi. Si ha spesso l’impressione che le stesse mani tornino su più pergamene, ma non è facile arrivare a identificazioni sicure, a causa della brevità dei testi, dell’omologazione delle scritture (spesso minuscole dall’assetto un po’ disarticolato) e del cattivo stato di conservazione delle membrane che rendono difficoltosa la lettura dei testi sul verso (Fig. 1).
Fig. 1 - Esempi di note dorsali delle carte pomposiane (Archivio privato dell’Abbazia di Montecassino, Carte di Pomposa, fascicoli vari).
Tra queste mani, tre in particolare si riconoscono per il grande numero degli interventi di cui sono responsabili, tanto che sembra di vedere in controluce una primitiva operazione di ordinamento delle carte, funzionale certo al loro reperimento nell’archivio. Queste note registrano solo il nome della località a cui si riferisce il documento, secondo la formula «Carta de Ustolato», «Carta de Comaclo», «Carta in Ravenna», o ancora «Carta de Bagnacavallo». In pochissimi casi, la stringa viene dettagliata con altre specificazioni: il nome della pieve, la natura del negozio, il nome di un testimone.
Le tre mani, databili ai secoli XII-XIII, sono le seguenti:
- mano α, che scrive nel terzo quarto del XII secolo: l'ultimo documento su cui interviene è del 1169

- mano β, che risale all'inizio del XIII secolo e compare nei documenti fino al 1231

- mano ϒ, che si data alla seconda metà del Duecento e fa la sua comparsa nei documenti degli anni ’20-’30 del secolo

Se questi microtesti sono davvero serviti, come si può ipotizzare, alla sistemazione delle carte, vediamo come l’antico archivio di Pomposa fosse ordinato su base topografica: i monaci avevano individuato la località come fulcro attorno al quale ordinare le carte e raccoglierle in mazzi, divisi forse per aree geografiche e luoghi di redazione.

Per approfondire

Mario Salmi, L’abbazia di Pomposa, Milano 1966, pp. 266- 268.

Antonio Samaritani, Presenza monastica ed ecclesiale di Pomposa nell’Italia centrosettentrionale. Secoli X-XIV, Ferrara 1996.

Introduzione a Le carte dell’archivio di Santa Maria di Pomposa (932-1050), a cura di Corinna Mezzetti, Roma 2016.
cc-byncnd.png
Image

PROGETTO

LINK UTILI