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LA STORIA ARCHIVISTICA E LE VICENDE DELLE CARTE

di Corinna Mezzetti

Nel 1459, l'abate Rinaldo Maria d'Este chiede al notaio Francesco Pellipari di preparare un inventario patrimoniale dei libri, dei documenti e degli arredi sacri conservati a Pomposa. 
L’inventario descrive in un elenco dettagliato i libri della biblioteca e le suppellettili liturgiche, ma riserva una nota brevissima ai documenti dell’archivio: «Due capse cum cartis et instrumentis diversarum rationum» (Fig. 1).

Fig.1 - Placito del 3 dicembre 1014 (Archivio privato dell’Abbazia di Montecassino, Carte di Pomposa, fasc. III, n. 44).
È questo il primo, e unico, squarcio sull’antico archivio di Pomposa, ancora conservato nella sua sede originaria.
Non si sono conservati, infatti, inventari o elenchi antichi che restituiscano la struttura e la descrizione dell’archivio nei locali del monastero. Le poche informazioni che possiamo ricostruire sull’ordinamento dato alle carte dai monaci sono affidate al filo rosso delle note dorsali, le stringhe di testo, cioè, scritte sul verso dei documenti in pergamena. Sono brevi note che registrano solo il nome della località a cui si riferisce il documento, secondo la formula «Carta de Gauro» o «Carta de Comaclo». Sembra che i monaci avessero scelto un criterio topografico per ordinare il proprio archivio: le pergamene erano forse raccolte per aree geografiche e luoghi di redazione.
Nel XV secolo, sotto il governo della commenda estense, molti beni del ricco patrimonio fondiario di Pomposa vengono sottratti dalla Casa d’Este e dirottati sotto l’amministrazione di una prepositura di stretto controllo signorile.

Insieme alle terre, molti documenti (soprattutto diplomi degli imperatori e privilegi dei papi) vengono incamerati dall’archivio della famiglia estense e sono oggi conservati nell’Archivio di Stato di Modena (Fig. 2).

Fig. 2 - Regesto quattrocentesco del diploma dell’imperatore Enrico II del 22 maggio 1014 (Archivio Storico Diocesano di Ferrara, Archivio dei Residui ecclesiastici, San Benedetto, sez. 4, n. 46, c. 630 v).
Nel 1553, i monaci di Pomposa si trasferiscono nella nuova sede cittadina di San Benedetto di Ferrara e vi trasferiscono l’archivio e i libri superstiti della biblioteca. Qui prendono avvio gli interventi di riordino dell'archivio, che hanno dato origine agli strumenti di ricerca che ci permettono ancora oggi di conoscere la consistenza e la struttura dell’antico archivio monastico. Due sono in particolare gli interventi più significativi: a inizio ’700 Benedetto Bacchini assegna ad ogni pergamena una segnatura e ne descrive il contenuto in un volume di regesti; negli anni Settanta del ’700, poi, il monaco cassinese Placido Federici raccoglie le trascrizioni di buona parte dei documenti in un codice diplomatico.

Nel novembre 1797, le soppressioni napoleoniche portano alla chiusura di molti monasteri ferraresi, tra cui di San Benedetto: l’archivio viene raccolto nell’Archivio demaniale, che concentra in Ferrara le carte di tutti gli enti ecclesiastici facenti capo al Dipartimento del Basso Po. 
Nel 1807, viene predisposta una «scelta delle carte diplomatiche» da inviare a Milano per la costituzione di un Archivio centrale del Regno: vengono selezionate così le pergamene più antiche dell'Archivio dei Residui Ecclesiastici destinate a prendere la strada per Milano (Fig. 3).

Fig. 3 - Documento di vendita 9 marzo 987 scritto a Ravenna (Archivio privato dell’Abbazia di Montecassino, Carte di Pomposa, fasc. I, n. 12).
Quanto non viene effettivamente spedito (poche pergamene e tutta la documentazione moderna) si conserva oggi presso l'Archivio Storico Diocesano di Ferrara. 
Le carte dei monasteri ferraresi arrivano a Milano. Dopo la Restaurazione, nel 1817 viene disposta la restituzione alle comunità di provenienza, ma un piccolo nucleo rimane in città ed è oggi conservato nell’Archivio di Stato di Milano. La documentazione in viaggio verso Ferrara viene però intercettata e dispersa: una parte consistente venne acquistata dall’antiquario novarese Carlo Morbio. Attraverso i canali della sua eredità le carte ferraresi (e pomposiane) vennero acquistate, per un primo blocco, nel 1880 da padre Agostino Theiner, passarono quindi al cardinale Federico di Fürstenberg, arcivescovo di Olmütz, che nel 1882 decise di donarle all'abbazia di Montecassino, dove sono tuttora conservate; un secondo nucleo venne acquisito nel 1884 dall'Archivio di Stato di Roma.
Ecco i percorsi, fino ad ora ricostruiti, della diaspora dell’antico archivio di Pomposa, oggi frammentato nei nuclei conservati oggi tra Modena, Ferrara, Milano, Roma e Montecassino.

Per approfondire

A. Samaritani, Regesta Pomposiae. I (aa. 874-1200), Rovigo 1963.
Introduzione a Le carte dell’archivio di Santa Maria di Pomposa (932-1050), a cura di Corinna Mezzetti, Roma 2016. 

C. Mezzetti, Carte di Pomposa: un fondo diplomatico ferrarese nell’archivio di Montecassino, in Sodalitas. Studi in memoria di don Faustino Avagliano, a cura di M. Dell’Omo, F. Marazzi, F. Simonelli, C. Crova, Montecassino 2016, pp. 685-696.

A. Gardi, L’eccezione ferrarese: l’archivio dei Residui ecclesiastici, in Le conseguenze sugli archivi ecclesiastici del processo di unificazione nazionale: soppressioni, concentrazioni, dispersioni, Atti del convegno (Modena, 19 ottobre 2011), a cura di G. Zacchè, Modena 2012, pp. 81-100.
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