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INTRODUZIONE

di Antonio Manfredi e Anna Berloco
La biblioteca di Pomposa fu una delle più illustri raccolte monastiche del medioevo italiano, certamente paragonabile ad altri e meglio conservati esempi; ma risulta oggi quasi interamente dispersa: la provenienza pomposiana è stata infatti accertata solo per otto codici, oltre ad alcuni esemplari liturgici.

La conoscenza della raccolta è affidata quindi anche a due elenchi di manoscritti: il celebre catalogo del 1093, un documento di straordinaria complessità, tra bibliografia precoce e tensioni culturali della riforma gregoriana, che scatta un’istantanea nel momento di massimo splendore del cenobio; e l’inventario patrimoniale del 1459, che suggella nella descrizione dei beni mobili ancora conservati a Pomposa il controllo estense sul patrimonio dell’antica abbazia. Il catalogo del 1093, compilato dal monaco Enrico, descrive l’armarium raccolto dall’abate Girolamo (1078-1106): un elenco di 67 volumi, molti miscellanei, per un totale di circa 240 testi. L’inventario del 1459 offre importanti notizie sulla biblioteca monastica in una fase ormai di decadenza per l’abbazia e alla vigilia del trasferimento della comunità a Ferrara. La dispersione dei codici aveva già infatti preso avvio. I preumanisti padovani avevano ottenuto esemplari da Pomposa sul finire del XIII secolo e ancora nel XV secolo umanisti ferraresi e intellettuali impegnati nel Concilio di Ferrara-Firenze del 1438-1439 visitarono l’abbazia deltizia alla ricerca di codici. L’inventario del 1459 fotografa così una raccolta di oltre cento volumi, a testimonianza di un patrimonio ancora ricco, ma ormai segnato da un evidente abbandono. Con il trasferimento a Ferrara nel 1553 e la definitiva soppressione di Pomposa nel 1653, anche i pochi libri superstiti vennero forse trasferiti a San Benedetto, tappa decisiva negli ultimi passaggi della diaspora dei libri pomposiani. Però quelli finora recuperati vengono non da un nucleo chiaramente individuabile, ma dai canali di dispersione, soprattutto nell’alveo dell’erudizione benedettina post-tridentina. Dopo i remoti prelievi preumanistici, e siamo all’età di Dante, sopravvenne l’età d’oro delle ricerche dei codici, dopo il Concilio di Costanza, e quindi l’innesto di Pomposa nella vivace temperie culturale della Ferrara di Niccolò III e di Leonello, dominata da Guarino, ma in certo modo presidiata da Niccolò V e da Roma. Sarebbe poi giunta la stagione della congregazione padovano-cassinese, viva dal punto di vista culturale, ma a cui forse l’antico cenobio potrebbe esser giunto troppo tardi per vedere salvata la parte più solida della sua antica biblioteca.

La storia successiva, dal XVII secolo fino ai giorni nostri, riguarda, infatti, le diverse ricerche fatte nel tentativo di ricostruire, almeno idealmente, l’antica e illustre raccolta di volumi.

Per approfondire

Pomposia monasterium modo in Italia primum: la biblioteca di Pomposa, a cura di G. Billanovich, Padova 1994

A. Manfredi, «Amissis rastris, ego sola mansi sub astris». Ricerche su libri, biblioteca e catalogazione libraria a Pomposa nel secolo XI, in Guido d’Arezzo, monaco pomposiano, Atti dei convegni di studio (Codigoro, Abbazia di Pomposa, 3 ottobre 1997 e Arezzo, Biblioteca Città di Arezzo, 29-30 maggio 1998), a cura di A. Rusconi, Firenze 2000, pp. 55-79.

A. Manfredi, Conclusioni per un “classicismo pomposiano”, in L’abbazia di Pomposa. Un cammino di studi all’ombra del campanile (1063-2013), Atti della Giornata di studi pomposiani (Abbazia di Pomposa, 19 ottobre 2013), a cura di C. Di Francesco e A. Manfredi, Ferrara 2017, pp. 235-243.
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